La “carta dei Beni Culturali” non è altro che la raccolta delle informazioni esistenti sui Beni Culturali, intesi come opere dell’uomo, capaci di trasmettere il “sapere”.
    Prima dell’avvento di Internet, la pubblicazione di qualsiasi informazione, prima su supporto cartaceo e poi su supporto digitale, non era alla portata di tutti, a causa dei costi elevati, richiesti sia per la “raccolta” delle informazioni stesse (si pensi al semplice rilievo di un monumento) che per la “pubblicazione” (si pensi alla gestione di un archivio di rilievi). La stessa scheda del Bene Culturale doveva fare i conti con il proprio ingombro: una scheda completa di tutti i particolari rilevabili non era facilmente consultabile, oltre che archiviabile. Di qui la necessità di riservare alle Istituzioni la Catalogazione.
    Con l’avvento della fotogrammetria (che con un semplice scatto fotografico consentiva di archiviare la forma, le dimensioni e la posizione di un qualsiasi oggetto) si cominciò a parlare di un archivio internazionale (anzi di un doppio archivio, in previsione di guerra) di rilievi fotogrammetrici e fu costituito il CIPA (Comité International de Photogrammétrie Architecturale) che ebbe la sua prima riunione a Parigi nel 1970.
    A parte alcune “raccolte” nazionali di rilievi, l’archivio internazionale è rimasto una “idea utopica” tanto che, ancora oggi, almeno in Italia, non è stato possibile effettuare neppure il semplice “censimento dei Beni Culturali”.
    In Puglia i tentativi non sono mancati, basti ricordare il progetto per il “censimento e la catalogazione dei trulli della Valle d’Itria” e quello dei “giacimenti culturali”, con fiumi di lire spese, oltre al “laboratorio di quartiere” di Renzo Piano ad Otranto.
    Nel 1985, tra la Regione Puglia e l’Università degli studi di Bari, fu firmato un accordo con convenzione per l’uso comune di apparecchiature fotogrammetriche-elettronica, avente come obiettivo l’avvio del censimento e della catalogazione dei Beni Culturali della Puglia. Quale sede del “futuro” Centro di Documentazione fu scelto il Complesso monumentale di Santa Scolastica, in cui all'epoca era stato dislocato questo laboratorio.
    Quasi certamente, in un mondo in un mondo in cui, ancora oggi, l’ignoranza è padrona, il termine “apparecchiature fotogrammetriche-elettroniche” destò il semplice sospetto che il problema “Beni Culturali” (più che paragonabile alla famosa “tela di Penelope”) volgesse a soluzione, chiudendo i rubinetti a quei canali di finanziamento, che ancora oggi consentono la sopravvivenza di molte “strutture inutili”.
    Di fatto il nascente Centro di Documentazione dei Beni Culturali fu smantellato, come si può desumere dalla rassegna stampa dell’epoca e il laboratorio di Fotogrammetria Architettonica fu trasferito nel Campus universitario, senza il restitutore fotogrammetrico Wild A40 (costato oltre 100 milioni di lire alla Regione Puglia), che fu letteralmente “abbandonato” ai vandali ed alle intemperie.
    Nel rispetto degli antichi detti “di necessità virtù” e “ogni volta che si chiude una porta, si apre un portone”, il laboratorio di fotogrammetria architettonica (ormai privo di apparecchiature e di finanziamenti, ma determinato a portare in porto il progetto finalizzato “Fotogrammetria e tutela del territorio”, allegato alla convenzione) fece ricorso ad Internet.
    Le reazioni non mancarono, basti ricordare il documento del Dipartimento di Vie e Trasporti, ma ormai, anche dai convegni svolti, era emersa una verità: “La tutela di Beni Culturali, quale diritto allo studio, appartiene a tutti. Lo Stato deve offrire semplicemente gli strumenti e i metodi, poi sarà il tempo a giudicare il grado di civiltà”.
   
Con la messa in rete dei lavori svolti dagli studenti del corso di “Rilevamento fotogrammetrico dell’architettura”, fu avviato di fatto il catalogo on-line dei beni culturali della Puglia. Fu messo in rete anche il programma Stereofot, per il rilievo delle misure dalle immagini grafiche fotografiche e, oggi, con le pagine personalizzate di “Maps Google” e “Maps Live” si può parlare di “Carta dei Beni Culturali”, anche se bisogna ancora precisare “on line”, perché a moltissimi sfugge il concetto di “georeferenziazione”.
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